La Settimana Santa a Belvedere Marittimo

Pagine del gruppo spontaneo de "I Fratilli", realizzate e curate da Antonio e Francesco Cuda

L'Ufficio delle Tenebre

Ultimo aggiornamento:  26/03/2024  

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  • Ufficio delle Tenebre

 

Cenni storici sul rito


L’Ufficio delle Tenebre è una tradizione antichissima della Chiesa Cattolica, risalente almeno al IX secolo. Il rito avveniva nei tre giorni del Triduo Pasquale e consisteva nella recita del Mattutino (oggi Ufficio delle Letture) e delle Lodi del giorno. Ad ogni antifona (9 del Mattutino e 5 delle Lodi) corrispondeva lo spegnimento di una delle quindici candele poste su un particolare candelabro o lucernario detto “saettia”. Solo l’ultima restava accesa, e veniva nascosta. Lo spegnimento era seguito da un “terremoto” o “strepitus” alla fine del rito, nella totale oscurità della chiesa. In seguito alla riforma della Settimana Santa del 1955 (e poi con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II), il rito delle Tenebrae declinò progressivamente fino a scomparire: rimase ovviamente la celebrazione dell’Ufficio delle Letture e delle Lodi, ma senza questa speciale cerimonia. Tuttavia in alcuni luoghi, come Belvedere, la tradizione si è conservata fino ad oggi.
 

Saettia nella Chiesa di Santa Maria del Popolo

 

Le Tremule a Belvedere Marittimo


La struttura antica dell’Ufficio delle Tenebre (‘i Tremule) a Belvedere prevedeva l’anticipazione dell’Ufficio delle Letture e delle Lodi del Giovedì Santo alla sera del Mercoledì Santo. Non si sa per quale motivo il rito venne anticipato, probabilmente ciò è da imputare alla moltitudine di celebrazioni che affollavano i tre giorni del Triduo Pasquale. Nella celebrazione il Salmo 50 (Miserere), liturgicamente posto all’inizio, veniva spostato alla fine del rito, subito dopo il Cantico di Zaccaria (Benedictus).
 

Il lucernario all'inizio del rito

Da scaricare:

Rito dell'Ufficio delle Tenebre

 


Il significato delle candele, del buio e dello strepito

 

Sulla destra dell’altare maggiore, illuminato con lampade e candele, si predispone un candelabro triangolare in legno o lucernario (saettia) con quindici candele accese. La vecchia formula del rito prevedeva che ogni antifona desse a un addetto il segnale per spegnere una delle candele del lucernario. Le candele che si spengono rappresentano le quattordici stazioni della Via Crucis. Finito il Miserere si spengono poi tutte le altre luci della chiesa, a rappresentare sia gli apostoli che la folla (che aveva acclamato Gesù al suo ingresso a Gerusalemme, ma che poi lo condannerà a morte) che abbandonano Cristo fuggendo (Mt 26, 56)
 

Il Lucernario al termine del rito


Nel buio resta accesa una sola candela all’apice del lucernario (Gesù abbandonato da tutti) che viene nascosta per poi riapparire in seguito (prefigurando la morte e la Resurrezione). Nell’oscurità della chiesa risuonano macinilli, tocca-tocca, tric-trac e i colpi dati dai fedeli su banchi e sedie. Il tumulto simboleggia il momento in cui “gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3, 19) e prefigura inoltre il terremoto che seguirà la morte di Gesù. Dopo questo breve momento si riaccendono le luci e la celebrazione termina nel silenzio.

 

Ascolta 'I Tremule

 


 

I TREMULI

Ricordo di Salvatore Fabiano del 2020, in tempo di Pandemia.


"La notte portò tuoni e lampi, una pioggia fittissima aveva bagnato i tetti ed i vicoli del mio borgo. Udivo lo scorrere del fiume di acqua piovana nella ripida discesa tra A Chiazza e la Vallata. Nel magazzino sotto casa la solita porta che batteva in continuazione e mi incuteva tanta paura. Il fondaco era stato abbandonato da Giovanni che abitava alla Marina e la gente del posto lo utilizzava come lavatoio e stenditoio.
Ma alla fine della lunga notte, tra il martedì ed il mercoledì santo, giunse l’alba e con essa spuntò un bel sole. Credo fossero gli ultimi giorni di un mese di marzo altalenante come al solito.
Il primo pensiero, dopo gli spaventi notturni, fu dedicato alla ricerca del mio sfavillante “macinillo” che avrei esibito per l’occasione. Era questo uno degli attrezzi che servivano per ravvivare ed accompagnare i riti della Settimana Santa. Al pomeriggio di mercoledì ci sarebbero state nella Chiesa Madre “i tremuli” e cioè la Funzione delle Tenebre per ricordare il sisma che accompagnò la morte di Cristo.
“Ecco tutta di Sionne si commosse la pendice e la scolta insultatrice di spavento tramortì”, scriveva il Manzoni negli Inni Sacri. “Il sol s’oscura e infin la terra il sen disserra pel gran dolor…….” Recita una canzone della Via Crucis.
Il mio “macinillo” di legno e compensato me lo aveva costruito un allievo falegname, Eugenio Pellegrino, che abitava nel mio stesso vicolo e che morì a soli 18 anni. L’avevo riposto nella cassapanca che custodiva gli alimentari, fichi secchi e legumi, e non riuscii a trovarlo. Qualcuno lo aveva spostato. Alla fine, la mia buona nonna Matilde, con tanta pazienza, riuscì a rinvenirlo in una camera oscura ove mia madre sarta teneva le riserve di carbone per il ferro da stiro e per il braciere.
Fu gran festa: una tazza di latte, una rapida lavata e via di corsa alla Nunziata per esibire il manufatto nuovissimo. Eravamo tutti pronti per quanto sarebbe accaduto all’imbrunire.
La cerimonia religiosa era lunghissima, ma a noi non recava alcuna noia. Tutti seduti sui gradini dell’altare attendevamo scambiandoci notizie sull’autore o la provenienza dell’attrezzo di cui eravamo in possesso: macinillo, tocca-tocca o tric-trac. Tutto sarebbe servito per fare rumore ed accompagnare, senza conoscere il significato rievocativo, cioè la simulazione del terremoto di duemila anni prima.
Il padrone di casa era l’arciprete don Ciccio Jaconangelo, un uomo altissimo e molto dinamico nelle sue movenze. A noi ragazzini incuteva timore in quell’occasione in quanto, forse vivendo con spirito di sopportazione quanto avveniva al termine della cerimonia, tentava di limitarne la baldoria.
Il lungo rito consisteva nella recitazione di alcuni Salmi, a voce alternata, che due sacerdoti cantavano. Davanti all’altare veniva posto un candelabro con una quindicina di candele che ad una ad una venivano spente ad intervalli regolari. Con l’ultimo spegnimento si concludeva la celebrazione. Venivano spente le luci della Chiesa per un brevissimo tempo e tutti rumoreggiavano come potevano: attrezzi dei ragazzini, catene “suonate” con il tremolio delle mani e libri battuti sui banchi.
Durante la lunga attesa il nostro confabulare era lento e con lo sguardo impaurito rivolto all’arciprete che vigilava sulla nostra disciplina. Se a qualcuno sfuggiva un piccolo rumore, ecco don Ciccio che, con due veloci passi ed un gesto rapido della sua mano, sequestrava il macinillo e lo collocava nel posto più alto dell’altare alle nostre spalle. La festa finiva là per il contravventore, magari involontario, e non restava che andarsene con le pive nel sacco. Il sequestro si sarebbe poi concluso al termine della cerimonia.
Quell’anno capitò proprio a me di vedermi il macinillo nuovo di zecca sequestrato. Un mio amico mi fece il dispetto aspettando che il braccio, inquieto e in attesa del momento chiave, fosse abilmente spinto facendo partire il tocco fatidico. L’immensa mano dell’arciprete sbucò alle mie spalle e provvide al sequestro. A quel punto non aveva senso restare sull’altare e presi la via dell’uscita. Mi ritrovai con altri ragazzini che avevano subito lo stesso trattamento ed uno di essi era vicino di casa con il quale giocavo nella Vallata. Non eravamo tipi da arrenderci: uno sguardo d’intesa ed eccoci prendere posto davanti al confessionale. Quando sopravvenne il buio totale ci impadronimmo delle due ante della porticina e le battemmo con tutta la forza possibile quasi volessimo cercare una vendetta verso colui che aveva operato il sequestro ai nostri danni.
Finita la cerimonia mi rivolsi alle “pie donne”. Erano le due sorelle Rosinella e Carmelella Scannavino, collaboratrici fidate dei parroci e dal carattere dolce e sempre sereno. Rosinella era grande amica di mia madre e, appena le indicai il mio macinillo, lo prelevò e me lo riconsegnò.
Io ed il mio macinillo eravamo pronti per il Giovedì ed il Venerdì Santo."

 

 


 

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